venerdì 19 ottobre 2007

L'ambasciata al Festival della Creatività 2007

Quest'anno l'Ambasciata di Marte era presente al festival della creatività proponendo le opere di:

Justin Thompson


Sonja de Graaf


Andrea Nardi





















giovedì 18 ottobre 2007

Sensazioni



La sperimentazione materica e il decorativismo sono gli elementi caratterizzanti che accomunano questi lavori di K. Casares . Tempera, sabbia, foglia d’oro, perline, acquarello e glitter si combinano tra loro in un pout pourry di colori e fosforescenze. Filo conduttore di questa ricerca è un decorativismo suggestivo che oscilla tra sensazioni tattili e visive. Il risultato è la fusione di superfici, spessori, trasparenze ed effetti di luce. La delicata consistenza del colore e della materia trovano giusto rilievo e adeguata collocazione all’interno di spazi minimalisti e aperti alla luce.

Valeria Lecca

Targets

sabato 6 ottobre 2007

DONNINO:INTIME RICOMPOSIZIONI



DONNINO:INTIME RICOMPOSIZIONI
OPERE DI VANIA COCCHI


INAUGURAZIONE VENERDI’ 8 GIUGNO 2007
AMBASCIATA DI MARTE
VIAMANNELLI,2 FIRENZE


Vania Cocchi utilizzando la tecnica del collage nasconde, dietro un lavoro dai tratti apparentemente bambineschi, la commistione di un’arte -e di una intimità- che lentamente si scopre e di una emergenza cromatica tipica di chi in realtà ha nel gesto dell’arte la propria identità. E questa consapevolezza alle volte emerge come in un sogno, altrimenti scompare come sott’acqua in una artista che parallelamente fa affiorare e poi scomparire il compiacimento e il godimento per il proprio lavoro. Abituata negli anni a non pensare a sé sotto il profilo artistico ma sotto quello pratico ed efficiente del lavoro utile socialmente e produttivo, sotto quello dell’essere figlia e compagna, Vania trova nella metodica e istintiva tecnica del collage l’occasione per dar sfogo a ciò che in lei giace, l’occasione per costruire una nuova identità. La prassi del ricercare immagini, del ritagliarle doviziosamente, dello scegliere cartoncini dai toni pastello è un trampolino dal quale gettarsi per assemblare e inventare figure che diventano una critica pungente, ironica, partecipata e affettuosa dell’esser donna e degli stereotipi a questo legati.
La freschezza infantile della tecnica scelta istintivamente da una donna che all’arte si è avvicinata per conoscere se stessa, protegge Vania dal rischio di appartenere alla schiera di chi “è venuto dopo qualcun altro”, al rischio di soccombere a quella povertà di linguaggio e paura di scoprire le proprie peculiarità che spesso imprigionano molti giovani artisti nell’ombra di qualche altro grande. A questo sfugge perché in lei vi è la bambinesca verginità di chi all’arte si avvicina senza nessun pregiudizio, senza nessun programma ma con l’emergenza interiore di dare forma a ciò che negli anni si è addormentato. Ed è così che Sogno ed Inconscio candidamente prendono spunto da una personale esperienza onirica, e con la sicurezza del tratto e del gesto puro nello spazio pittorico si uniscono forme e colori per reificare esperienze che altrimenti cadrebbero perdute.
Il gioco delle opere è nello scoprire, noi spettatori, quanto le immagini che lei seleziona appartengano o meno al nostro bagaglio visivo, quanto queste abbiano in noi una memoria consapevole e quante invece siano di diritto Immagini della Memoria senza che noi si possa per esse creare una storia. E questo perché, come già i maestri della scuola di piazza del Popolo a Roma ci hanno insegnato, la nostra terra e la nostra storia sono imbibite di memoria e l’impregnazione è tale che anche adoperando immagini apparentemente nuove o pubblicitarie non possiamo fare a meno di confrontarci con la nostra cultura nella quale ormai nuove icone effimere e patinate si confondono a immagini decontestualizzate e trasformate, ma che nella loro forma primigenia erano quadri, paesaggi, forme dell’arte.
Vania scopre, e fa a noi scoprire, quanto la scelta di talune immagini non sia affatto casuale, ma frutto di quella formazione visiva che con un sistematico bombardamento retinico dalla prima infanzia forma il nostro senso del bello, del buono, del ritagliabile, dell’incollabile.. E allora il suo pennarello aggiunge e modifica ciò che già il libero arbitrio e l’assemblare hanno riformato: da ciò che apparentemente è confezionato, da ciò che è pensato come arido bene di consumo, da una rivista, lei trae i suoi colori, le sue forme e la sua libertà d’espressione. È la condizione femminile che la ispira maggiormente, anche se dire condizione femminile già nasconde un triste senso di luogo comune e di faccende ormai note. Ecco, è la femminilità che la ispira. Ed è a questa che vuole rendere omaggio, con il meraviglioso dono dell’autoironia che le donne hanno, con il saper coniugare la propria parte bambina e quella ferina per demolire l’immagine che un mondo complice e maschile offre di noi, per poter dire: guardate, sto giocando, avete afferrato di me così poco che le vostre immagini io le smonto , do loro nuova vita attraverso le mani vere di una donna. Tutto questo lo sono gli otto deliziosi e voluttuosi collages carichi di capriccio e critica, che Vania con questa sua prima mostra personale ci regala.

Martina Stoppioni




Ho cominciato a fare collage circa due anni fa, quando nel silenzio della mia cucina, sulla tavola ormai sparecchiata del dopo cena, ho iniziato a ritagliare immagini da giornali, incollare e dipingere, trasferendo sul cartoncino tutte le mie sensazioni, le mie emozioni ed il mio inconscio.
Di inconscio parlo in quanto quasi sempre tali rappresentazioni non sono state pensate ed elaborate preliminarmente, prima cioè della loro realizzazione, ma sono nate in maniera del tutto spontanea, senza razionalizzare una situazione, un paesaggio, un soggetto. Normalmente infatti è solo dopo aver finito il lavoro che vi trovo il significato; è un po’ come se interpretassi gli angoli più nascosti di me, dandogli poi una spiegazione.
Da tempo avvertivo il bisogno di creare qualcosa, di indirizzare la mia creatività latente; avevo bisogno di elaborare qualcosa con le mie mani. Per moltissimo tempo non ho saputo come, poi piano piano, nella fase di relax della sera, ho iniziato prendendo un pezzo di cartone avanzato a fare dei disegni e ad appiccicare soggetti presi da una rivista.
In questi momenti tutti miei, completamente liberi da pensieri, da obblighi e dal razionale andamento del quotidiano, libero la mente e “sfogo” tutta la mia passione, libertà, creatività in questi collages. Sono una persona che è sempre stata abituata negli anni a non pensare a se sotto il profilo artistico ma solo sotto quello pratico ed efficiente del lavoro utile socialmente e produttivo.
Il nome di “collage” l’ho dato con l’andare del tempo in quanto non avendo mai pensato ad una tecnica specifica e non avendo neppure mai fatto studi inerenti l’arte e la pittura, mi sembrava il più appropriato. In occasione di questa mostra i lavori che espongo sono: Sogno, che prende spunto da una personale esperienza onirica, La Donna, espressione di femminilità; Matrimonio, rappresentazione del nascere e morire di una coppia; Vanità, mio primo collage, insieme inquietante ed ironico; Im-mobili e Lo sguardo, ovvero i primi passi che ho mosso nell’esplorazione della mia creatività: Eternità ed Inconscio, ultimi lavori realizzati cronologicamente e frutto di una sempre più piena consapevolezza della gioia e della libertà d’espressione che regala la coerenza nel seguire la propria indole.
Grazie,

Vania Cocchi

,l'eventuale fioritura di certi valori morali,



“E Adesso? Mi Diressi verso la zona commerciale di Parkington e dedicai l’intero pomeriggio ( il tempo si era schiarito , la città bagnata era come argento-e-cristallo) a comprare cose belle per Lo. Dio mio, che acquisti dissennati scaturiscono dall’acuta predilezione che Humbert aveva a quei tempi per le stoffe a quadretti, il cotone colorato, le gale, le maniche corti a palloncino, le morbide pieghettature, i corpetti aderenti e le gonne generosamente ampie! Oh Lolita , tu sei la mia ragazza, come Vee era quella di Poe e Bea quella di dante-e quale ragazzina non vorrebbe fare la giravolta con una gonna piroettante e un paio di mutandine succinte?


Un’altra donna molto più vecchia con un vestito bianco e il fondotinta, parve singolarmente impressionata dalle mie conoscenze in fatto di moda infantile; magari avevo per amante una nana;così quando mi mostrò una gonna con due tenere tasche sul davanti, le feci con intenzione un’ingenua domanda maschile e fui premiato con una sorridente dimostrazione sul funzionamento della cerniera posteriore. Poi me la spassai con ogni genere di braghette e mutandine- fantasmi di Lolita in miniatura che danzavano, cadevano, volteggiavano sul bancone.Concludendo l’affare con un casto pigiama di cotone nel popolare stile garzone di macellaio. Humbert, il popolare macellaio.”

Vladikmir Nabakov, Lolita, 1955

Longing & Belonging




Un altro passo nell’esplorazione dell’identità negoziata e messa in crisi nelle sue coordinate abituali. La distanza da casa, dal proprio contesto abituale, dai gesti e dalle relazioni significative che ci danno senso. L’esperienza della distanza spaziale per approfondire il rapporto con il proprio sé indossolubilmente legato agli altri e al luogo d’origine, d’appartenenza.
Tre differenti versioni al femmile di questa esperienza, tre giovanissime studentesse che attraverso le loro opere problematizzano l’argomento attraverso il filo rosso delle loro esperienze e relazioni.
Particolare attenzione per le tecniche “vintage” proposte da chi ti aspetteresti una abitudine generazionale al multimedia e all’utilizzo della tecnologia più all’avanguardia. Invece vengono presentate raffinatezze d’altri tempi quali il libro d’artista, presentato sia da Kristen Jasionowsky ed Emily Frost, oppure eccellenti ritratti “kitch” realizzati con pastelli ad olio da Carol Alexander.

XYX connection



Divenire Collettivo

All’interno del percorso “Sviluppa Il tuo progetto d’arte” questa volta viene presentata un vera esperienza collettiva. Con il collettivo XYX , che nasce nel maggio 2006, in occasione dell’esibizione artistica WomenArt a Lerici in Liguria. Attraverso pittura, foto, videoarte, performances esprime un’idea di collaborazione tutta al femminile, volendo parlare di un concetto di “donna” e non necessariamente in senso femminista.
Nella mostra Connection il gruppo tenta una apertura accogliendo temi di integrazione della differenza con l’inserimento del genere maschile nelle analisi concettuali delle loro opere coscienti di non poter esaurire tutte le possibili implicazioni e argomenti, tentano attraverso l’arte di parlare di connessioni tra i generi come metafora dell’interazione e dell’integrazione.
Il gruppo ha una natura aperta che traccia le linee guida di un percorso sempre aperto per chi voglia intraprenderlo, nella prospettiva di far cadere le barriere di genere e la “donna” si ponga come entità percettiva e sensibile ai mutamenti.
“ Crediamo che nel momento stesso in cui vengono messe in scena le nostre opere nella solita dimensione spazio temporale,il nostro divenire artiste,, si trasforma da una singolarità in una visione collettiva. Il nostro è un divenire collettivo”




panoply




PANOPLIA

Continuando la nostra avventura negli accidenti dell’identità contemporanea ci viene offerta questa volta l’opportunità di indagare le difese, le frammentazioni, le reazioni, siano esse di natura semplicemente psicologica oppure sociale, del singolo o della collettività.

(L’esibizione)


La parola Panoplia, alla quale fanno riferimento i due artisti, deriva il proprio significato dal francese del tardo xvi secolo in cui panoplia significa “protezione spirtuale completa” e dal latino moderno dove il riferimento bellico è più esplicito “ armatura completa”.
Ma anche l’aspetto etimologico del frammento o del notevole potenziale di una collezione completa di cose viene messa in luce e sperimentata dalla ripetizione dei gesti intenzionati magicamente del cucire, del fotografare ripetutamente fino a costruire un movimento, una drammatizzazione di difesa come nel film di Amber Scoon, o un oggetto sociale come la scultura Trophy, realizzata cucendo a mano vecchi frammenti di coperte con un processo rituale evidenziato anche nelle animazioni, che si pone come un nuovo modo di vedere la storia della violenza nel contesto storico della schiavitù Afro-americana e ironicamente contemporanea nella versione della cultura dei gangsta-rap.

EXPRESSioni



Prendere un momento effimero, una sensazione veloce, quasi impercettibile, e costringerla a rimanere nel tempo. La durata non é d’importanza; quello che conta davvero é la forza. L’emozioni hanno una vita propria, e a volte sembrano non voler sottometersi davanti a nessuno, davanti a qualsiasi situazione o tecnica. Bisogna essere coraggiosi per affrontare questa lotta.

Mónica Ogaz sa come spogliarsi di logiche e ubbidire semplicemente al suo istinto pittorico. Prende una linea e la lascia libera, la guarda sdoppiarsi, percorrere la carta finché non afferra la sensazione che poi domina. Li da la possibilitá di perdurare e ricrearsi; la uccide per lasciarla rinascere.

Gli schizzi liberi, le linee istantanee, ci portano al fulcro della natura umana, a una sensazione quasi primitiva, astratta fino al punto di diventare inchiostro e carta. Nella sua opera “Una tra le tante…sempre io” Ogaz prende se stessa come punto di partenza onde riuscire a spiegare meglio lei stessa e il mondo che governa la sua individualitá. Con ognuno dei suoi autoritratti mostra la sua preoccupazione per la propria sussistenza, la sua perenne inquietudine per il rapporto che tutti –ma sopratutto lei- abbiamo con le scadenze, con il tanathos individuale.

In “Composizione” questi suoi interrogativi vengono gestiti in maniera differente; prendendo un quadro che non lascia trasparire emozioni, e donandoli vita nuova. Il movimento dei suoi elementi e l’infinitá di combinazioni concedono ad esso l’immortalitá.

La velocitá di esecuzione é un elemento fondamentale per catturare tutti i concetti che Ogaz vuole giustificare. Solamente lasciando da parte il tempo si é abbastanza agili per acchiappare la preda. Con questo rituale personale percepisce il proprio tempo, scopre i suoi limiti e riafferma la sua autoritá emotiva, offrendoci, como se fosse un dono, i frutti della propria ricerca.

Valeria Farill


Sulle strade del Quartiere

1+1



1+1

La prima installazione fatta l’anno scorso con Marco Biagini è nata per caso, nelle nostre rispettive individualità solo parallele, fino a quel preciso momento. Una testa a sé stante che si sospende nello spazio contestuale con fili trasparenti. Ho sentito subito l’immediatezza e la forza di questa metafora tridimensionale, ecco di fronte a me il primo passo per una analisi artisticamente contemporanea delle umane relazioni.Fare un ponte fra nature aliene è possibile nella comprensione della differenza, nel farla letteralmente propria, o per essere più precisi nell’accettare che la differenza tipica del mondo sociale intersoggettivo è il lato esterno di una differenza intrasoggettiva.
L’idea di presentare questa volta una esperienza di dialogo così esplicito sulla relazione è una opportunità tipica, è uno di quegli esempi da manuale che sono contento di poter ospitare all’interno del nostro progetto, ancora di più per Manuela Paparo che nella sua freschezza e spontaneità è oltremodo perfetta in questo ruolo.
Queste le basi delle scelte fatte fino adesso, questo il colore del filo che lega tutte le esperienze di questo progetto, dalla mostra “Le Onde” di Tohko Senda dove l’esperienza delle umane onde percettive ed emotive erano messe in scena e rese esplicite da una pittura, libera, potente, vitale fatta di segni vibranti e ambivalenti. I progetti nascono dal tentativo di estetizzare per immagini l’esperienza urbana, con ogni media, come ad esempio i progetti di “streetphotography” dell’associazione Desphoto, nella consapevolezza del suo significato personale e collettivo.
Collettive o personali sono esse stesse l’epilogo di un percorso, didattico o professionale, mosso dal desiderio di riappropriazione degli spazi della nostra esistenza, credendo nella necessità di fare posto per una visone critica, più attenta concentrata e vissuta.
Oltre lo stereotipo, al di là di percorsi battuti e ormai aridi una flessibile libertà cooperativa, invisibilmente coordinata.
Andrea Nardi

Quanto Spazio Hai?



All’inizio della scorsa stagione pensando alla installazione che avrei voluto fare sono stato folgorato
nel riflettere sull’idea dei “Bisogni Primari” , la mia fantasia si era figurata di riempire lo spazio visivo con necessità primarie evocate con il colore e con oggetti d’uso. In quel determinato momento vedevo necessità nella cura, nel lavoro, nella pulizia ma mesi dopo, incontrata Germana, ho avuto l’opportunità, all’interno del nostro percorso extraterritoriale denominato”Sviluppa il tuo progetto d’arte”, di indagare, con il lavoro che si andava materializzando durante il nostro primo incontro, l’idea, che è precondizione, che è principio di individuazione della nostra esperienza, lo Spazio.
Lo spazio fisico sì, una scatola di cartone a dimensioni ambientali (2,50x2,50x2,50 circa) nella sua qualità però strettamente umana e relazionale, l’io e gli altri, il contesto, l’isolamento e la relazione nel ritmo di un evento effimero e fugace come una performance, uno scatto a sviluppo istantaneo di una polaroid, fatta di conflitto, improvvisazione e insoddisfazione, ma liberatoria.
Non un dente di latte da togliersi con il filo legato ad una porta ma una esperienza numero uno, un’esperienza in prima persona.



….

“ Pensavo che sarebbe rimasto una appunto in un quaderno “ è stato un pensiero frequente nelle ultime settimane..sono sfociate ieri in quella confessione da ubriacone: molesta ..euforica…rabbiosa!
Magari è stato solo un mio sfogo ..ma comunque è stato un buon input. Tu hai saputo cogliere un momento di confusione e trasformarlo in un pensiero LUCIDO e ORDINATO. Tu hai le parole,tu dici quello che io fotografo. Non so parlarne, non so nemmeno scrivere e in relatà non so nemmeno fotografare.. però in qualche mi dovrò pure presentare.. io parlo di me..scrivo di me e fotografo di me..io un’esistenza tra mille altre.. io in rapporto..in conflitto..in in intima complicità con gli altri..come tutti DIFFERENTE INCOMPRESA UGUALE..come chiunque altro!
Tutto è ..come sempre una contraddizione..come farò io così inadatta a sottopormi al giudiziodegli altri??!!Vorrei solo saper se qualcun altro ha l’impressione di sentirsi bloccato …io credo di sì..comunque non vi proccupate…io stò bene..
E voi dove siete?io ci provo a mettermi in una sctola.. e provo ad osservarmi dall’esterno provo a vedere che succede, cosa vedo? Come mi vedo? Come mi vedono? Cosa esprimerò così!? Magari sarò ancora una volta incomprensibile per me e per gli altri..però boh..potrebbe essere doveroso..potresti alzare li occhi e accorgerti che anche tu..
No no..stò sbagliando..stiamo sbagliando..il concetto è molto più semplice si tratta di adattare la scatola al proprio corpo e non lascirsi chiudere dentro.. e poi personalizzarla.. e alla fine comincerà ad essere più comoda familiare e quasi la casa. Ma non confondiamo le cose per me riuscire ad adattare il contesto.. modificare il contesto per riuscire a vivere liberamente e riesci poi ad evadere… tanto meglio non tornare indietro…muoversi..il movimento è il mezzo..l’evasione dal contesto.”


Germana Fiore



LE ONDE


ILLUMINAZIONE


PRIMARY NEEDS




Prima di tutto io in prima persona non credo nelle risposte, sono, certamente per natura istintiva e per crescita, portato alla curiosità e all’incessante movimento, che oscilla nello spazio e nel tempo, della conoscenza delle verità fallibili. Lo scenario che con l’aiuto dei personaggi di questa avventura voglio illustrare è quello di Natura aliena che, per creare contatti comunicativi, cercherà di capire, nella multidimensionalità possibile, l’infinita universale apertura del senso e del significato.
Il nodo crocevia di questa riflessione “necessaria” è l’identità, problematizzata, resa fluida e negoziata, nello spazio e nel tempo delle relazioni possibili.

Buonviaggio……